Astorre II Baglioni – Guerriero e letterato
IL GRIFONE E LA MEZZALUNA
L’impero ottomano e la cristianità,Marcantonio Colonna eAlì Pascia,Sebastiano Venier e Uluh Alì detto “occhiali”,Giovanni d’Austria e Lalà Mustafà Pascia,Pio V ,i cavalieri di Malta.
Questo è l’ambiente in cui si forma e si fa apprezzare Astorre Baglioni. Questo è l’ambiente dove si conquisterà quella fama di invincibile che sarà la sua rovina.
Siamo alla vigilia della battaglia che salverà la cristianità.
Nell’isola di Cipro Astorre Baglioni tiene per un anno intero in scacco il potente impero ottomano e ,anche grazie al sacrificio dell’eroico Bragadin permette che si rinsaldi l’alleanza fra Spagna e Venezia Genova e tutte quelle altre potenze che sotto il vessillo della lega Santa ,voluta da Pio V a Lepanto il 17 ottobre 1571 fermeranno l’espansione turca nel mediterraneo,salvando di fatto la civiltà cristiana
Astorre,uomo si confronta con le culture del suo tempo. Tradimenti ,premonizioni ,atti di eroismo portano ad intravedere una realtà diversa da quella tramandata dai testi storici.
Scontri guerreschi ed incontri amorosi si susseguono. Una principessa persiana condividerà la sorte di Didone mentre una donna fiorentina riuscirà,convincendo il papa,Cosimo de Medici e sopratutto i ricchi olandesi ,reduci dal nuovo mondo ad armare una flotta che cercherà di salvare gli assediati ed è a lei che Astorre si rivolge nella sua ultima lettera
‘Vedermi diviso da voi[i], mi par d’essere come giorno senza sole, anzi corpo senza anima, poiché voi ed io insieme siamo la vita di casa nostra…Vi prego, mitigate il tedio del mio stare assente con l’acquisto dell’onore che, Dio permittente, spero di conseguire nella difesa di Famagosta.
Il "Grifone e la mezzaluna" narra le gesta di un condottiero perugino, Astorre Baglioni.
Il fondale è quello dello scontro fra religioni, cristiani contro ottomani.
Forse, è questo o nulla di tutto questo. Forse è solo un pretesto, uno scenario, dove solitarie e discrete comparse rifuggono allo sguardo della Storia, tessendo quà e là arazzi quasi timidi e celati.
L'io narrante è anomalo. E' un amuleto, un artefatto, creta modellata sulle forme d'una fiera immaginifica, un grifone, ricettacolo d'una volontà eterea, una parte dell'artigiano che l'ha forgiato.
Colui è celato nell'opera, o il contrario, visto che l'io del grifone sembra atemporale, svincolato dall'umana parabola della vita.
Il suo resoconto si fa subito laterale, narra la sua creazione, o il risveglio sotto le vestigia d'un astore: la sua narrazione è spostata rispetto al punto di vista solitamente storico, quello della storia con la s maiuscola.
Qui non c'è il poderoso rombo del fiume in piena della Storia, quella che zittisce e ricopre le singole umanità, il grande pastone mainstream, il grande omogeneizzatore al servizio di chi riscrive la storia a sua convenienza. Qui si vola a vista, il grifone si rilassa con librate panoramiche, sorvola distese temporali e spaziali, dall'alto, a volte circoleggia in aria, a volte vola rasoterra, talvolta in vertigiose picchiate e ardite risalite: e a volte, semplicemente, si ferma, a vedere lì, negli interstizi del flusso storico, quello che conta davvero.
Si salta lo spazio e il tempo, brevi soste e lunghe falcate, i protagonisti crescono e muoiono, le comparse passano e salutano, qualcuno vive per una sola pagina, lasciando il segno, altri vegetano leziosi, altri in balia degli eventi loro malgrado, eroi controvoglia.
Il protagonista è un giovaine sul bilico vertiginoso fra l'ardimento bellico e il sogno della letteratura.
All'inizio lo vediamo sospeso su un campo di battaglia, davanti a sè un persiano, Farrokh: entrambi, nonostante la giovane età, con lo sguardo di chi aveva superato il confine tra la vita e la morte, senza capirle, al tempo in cui l'adolescenza era un lusso per pochi.
Le loro strade si incroceranno ancora, nel corso della loro vita adulta, fin all'epilogo crudele, gettandosi fugacemente timorosi e timorati ponti fra di loro: scoprendosi così simili, anche se diversi, un attimo dopo che uno di loro due sarà già caduto. Ma questa narrazione è nata da una donna, il terriccio della trama è fortemente intriso di humus femminile.
Femminile come il motore di tutto, il filo rosso. La stella polare del protagonista. Sua moglie.
E' lei il vero protagonista: silenziosa, come una piccola amanuense piegata e taciturna, laboriosa e previdente, tenace. Senza di lei Astorre non sarebbe mai stato ciò che è stato. Senza ombra di dubbio.
Lei è granitica quanto lui è volubile, distratto, ferale, istintivo. Lei è immersa nella vita, sa che la sua esistenza dovrebbe essere migliore, meriterebbe di meglio, ma il tempo in cui vive è nebbioso.
A lei va bene così, gioca la sua vita al meglio, vada come vada, e protegge suo marito, in ogni caso, ad ogni costo. La sua presenza è potente, contralta la frugalità di Astorre, che guarda la vita scivolargli via dalle mani, vede il sogno della letteratura svanire via, lasciare il posto all'arme, ed infine cedere alla moglie il peso e la gioia dell'educazione di suo figlio. Chi è colui? Un letterato, un capitano di ventura, un uomo?
E nel libro chi è raffigurato? L'Astorre della storia, del mito, dei scritti, quello del grifone o dell'autrice?
Nessuno di coloro, forse. Già è tutto scritto e fatto. Tutto è gia storia. E nella storia è doveroso morire da eroi. Perchè c'è la paura, la paura della morte, è non c'è paradiso dorato e melodia flautate e onori che tengano, realtà o finzione. E questo, nel crogiolo della vita, è quello che conta, alla fine sono simili.
Astorre è l'uomo che vorrei essere da quando studiai Famagosta tanti anni fa . Tutti pensando Famagosta pensano subito a Bragadin ma il vero eroe, il vero motore della resistenza eroica di Famagosta fu Astorre e subito dopo di lui il Martinengo. Grazie Alessandra di averne scritto , cercherò subito il suo libro
sono molto contenta di vedere che qualc'un altro si interessa alla figura storica di Astorre mandami una mail [email protected]
Da Veneziano, non posso essere che grato ad Astorre Baglioni, per la splendida difesa da lui condotta, della fortezza di Famagosta, dimostrando coraggio, sagacia, acume tattico, inventiva ed estrema decisione.
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